Alessandra Bello
Ferrata Mori

Covid19. 5 lettere e 2 numeri: C-O-V-I-D-1-9.
Fino a qualche mese fa nessuno avrebbe intuito il peso che questa sigla avrebbe avuto sulle nostre vite. Ci ritroviamo qui separati da quel metro che ci fa sentire sicuri. Eppure è proprio quel metro di distanza da tutte le persone che amo che pesa enormemente.
Sì perché ho bisogno di vederle, di parlarci, di toccarle, di abbracciarle.
I momenti difficili nella storia sono sempre stati superati stando vicini: ritrovando sicurezza negli abbracci delle persone vicine, nella famiglia, quella vera, non necessariamente quella di sangue.
Ed ora invece siamo chiamati a fare l’esatto opposto.
Covid19. Ho più tempo per pensare. Dicono. Ho più tempo per sognare. Dicono.
Ma ora di tutto questo tempo non so che farmene. Quante volte ho detto “come vorrei del tempo per me… per riposarmi... per coccolarmi…”. Ora ho capito che nonostante tutto ero riposata e che le coccole che desideravo erano altre e le avevo già tutte… e tutto sommato anche la frenesia del lavoro e del correre per incastrare allenamenti, falesia e amici, aperitivi, figli, montagna e libertà, a volte facendocela e a volte fallendo. …era il mio tutto perfetto. Ed ero appagata.
Io sto continuando a sognare e con la materia di questi sogni progetto, studio e mi preparo. Preparo le mie prossime azioni. In alcune fallirò e altre riusciranno. Mi alleno. Alleno il mio corpo per allenare la mente. Questo me lo ha insegnato la montagna e continuo a farlo. La montagna non è tutto ma i suoi insegnamenti sì. Ho bisogno di un nuovo inizio dal quale ripartire e questo è il mio modo di farlo.
Le forze sono allo stremo e a momenti mi sento sperduta e apatica ma non posso, non devo cedere ora. Bisogna continuare a ricercare la bellezza.
Resto libera, cerco di mantenere il cuore libero di sognare. Perché le mie azioni andranno nella direzione dei sogni. Tutto sta nel ricominciare ad agire preparandomi al meglio per quando potrò finalmente tornare al mio ambiente. Qualsiasi esso sia.
Nel mentre di queste riflessioni ripenso all’ultimo giro fatto. Ignara di quello che sarebbe arrivato poi.
Una di quelle uscite “rubate”, incastrata nel tempo dell’asilo di Eva, fra un lavoro e l’altro, non pianificata…
Io e C. ci troviamo per un caffè dopo che ho portato Eva all’asilo in una giornata di fine gennaio. Il giorno era fantastico: un sole caldo malgrado la giornata smaccatamente invernale.
Sorseggio il caffè e guardando fuori dal vetro del bar leggermente appannato a un certo punto sbotto “Ma sai che c’è? Giusto ieri sera prima di addormentarmi studiavo una ferrata che mi piacerebbe fare... L’hanno appena rinnovata, sarà qualche anno… e se hai il caschetto in macchina te la butto là! Una arrampicata senza pensieri! Prendere o lasciare!” Il materiale nell’auto di un climber non manca mai: ed è così che ci ritroviamo in viaggio verso Trento. La ferrata Mori ci aspetta!

Arriviamo a Mori che ormai la mattina è alta nel cielo. Per arrivare all’attacco della ferrata si passa in mezzo ad una zona Boulder molto carina: me la segno, ci tornerò con Eva!
La ferrata inizia subito verticale… parto per prima: non vedo l’ora di toccare la roccia!
E’ molto esposta e divertente e un passo tira l’altro. La vista aerea sulla vallata ti accompagna tutto il tempo ed io salgo, mi fermo per scattare e riparto. C. dietro di me paziente procede a singhiozzo e ride nel vedermi così felice. Mi sento a casa, nel mio ambiente. E’ qui che sento di sondare la mia interiorità. E’ qui che sondo, attraverso il corpo, il cuore e lo spirito che mi animano. Forti esposizioni, salti verticali, il vuoto mi riempiono di vita e mi sento appagata.
E girandomi verso il mondo dietro di me, oltre quel vuoto, ripenso a quando i profughi di Mori rientrando in paese nel 1919 trovarono un paese devastato, distrutto dalla guerra. Ponti minati, boschi tagliati, case in rovina, campagne devastate. Le strade rese inservibili dalle detonazioni di granata sparate sia dai nostri che dai loro e lo scavo dei trinceramenti. Questa parte di mondo durante la guerra era stata al centro di un vero e proprio inferno: prime linee, postazioni di artiglieria e osservatori.
Eppure ora, come allora, è il Monte Baldo e il Garda che da lontano, nascosti alla nostra vista, catturano la nostra attenzione facendo percepire la loro grandezza silenziosa. Due Titani che si guardano e come Scilla e Cariddi si specchiano e si ritrovano l’uno dentro l’altro.
La ferrata finisce presto, troppo presto, e sulle sue rocce lascio questi pensieri e porto con me leggerezza e calore. Non abbiamo tempo di fermarci: il tempo stringe e devo correre a casa a lavorare e poi a prendere Eva. Ma queste rocce grigie e gialle le continuo a sentire sotto le dita per ancora qualche ora e mi scorrono dentro riscaldandomi il cuore e i pensieri.
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Se volete i dettagli tecnici della salita qui trovate la relazione. Buon viaggio! e al prossimo articolo!