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  • Immagine del redattoreAlessandra Bello

Monte Cauriol


Certe cose sono impossibili da spiegare a parole, ma se provassi a usare delle parole, beh, sarebbero queste.


In questa parte di crode, il rifugio Refavaie è indiscutibilmente il punto da cui si snodano molti fra i maggiori sentieri verso il Lagorai; Ed è proprio qui che io M. e L. siamo diretti oggi.

Vicine vicine, le automobili riempiono il parcheggio, ma con un po’ di fortuna e di irriverenza riusciamo a parcheggiare alla buona; il sole fa capolino dietro di noi che siamo già sul sentiero diretti con passi lunghi e veloci verso il Cauriol.

L’avvicinamento si fa subito erto, ma non vediamo ancora la nostra meta: per scorgerla dobbiamo uscire da questa conca e vogliamo farlo velocemente per arrivare a toccare i raggi del sole ormai fatto.

Finalmente lo vediamo: di fronte a noi i graniti del Cauriol si alzano verticali intenti a raccogliere il calore della nostra stella primaria.

Continuiamo a salire, la cima è ancora lontana, ma devo ammettere a me stessa che visto da qui è davvero una visione: il granito è dentellato, scuro, a tratti rossastro e macchiato dai licheni gialli e verdi; tutto intorno un esplosione di giallo caldo. La terra e le sue creature vegetali regalano gli ultimi tepori tardo autunnali prima del grande inverno alpino.



E’ un paesaggio che può sembrare dolce ma nasconde una buia e tetra verità dentro di sé: non esiste luce senza ombra.

Mentre proseguiamo mi rendo conto che lentamente il Cauriol ci volta le spalle mostrando il suo lato scuro.

E’ lì che siamo diretti: verso l’ombra, verso la faccia nascosta della luna, dove tutto è possibile.

Il tepore del sole lascia il passo al freddo dell’inverno. Qui il granito si abbraccia al ghiaccio e l’aria diventa così pungente da obbligarci a vestirci con ciò che abbiamo con noi.

Inizia la nostra salita verso la cima.

Inizia il nostro viaggio fino al termine della notte.

Qui, nell’ombra gelida, troviamo nascoste al mondo degli uomini odierni le tracce sopravvissute della nostra storia: trincee, accampamenti e rifugi che, aiutati dall’ombra, restano incastonati nel granito.

Ed è grazie alla fredda roccia ghiacciata che riescono a custodire memorie, parole perdute, risate strozzate, singhiozzi convulsi e tremori indicibili.

Il granito racconta che non esistono eroi, ma solo uomini che non hanno vinto la paura: hanno forzatamente imparato a convivere con essa. Chi con impeto cerca di ricacciarla da dove è venuta. Chi bloccato. Chi travolto. Chi annientato.

La storia è fatta più da ombre che da luci.

E queste ombre si somigliano sempre. La storia incredibilmente, insensatamente, paradossalmente, ciclicamente si ripete e noi impariamo sempre troppo poco. Tutto cambia: cambiano le mode, cambiano le lingue, gli stati, addirittura a volte cambiano anche le religioni. Ma l’uomo: l’uomo non cambia mai.

Dicono che anche la più bella delle albe è sempre preceduta dalla notte.

Vero. E niente come una notte senza luna ti fa amare un’alba. Ma è dannatamente difficile ricordarlo fino alla fine del viaggio al termine della notte.

Continuiamo a camminare a denti stretti.



Alba.

La cima non è distante. Il calore scioglie questi pensieri ghiacciati e lentamente queste memorie scivolano di nuovo nell’ombra del tempo.

La vetta è a pochi passi. La roccia calda abbraccia la croce di vetta che svetta verso lo zenit e noi ci riposiamo un po’ accanto a lei prima di cominciare la nostra discesa nel versante assolato del Cauriol.

Il vento gioca con gli ultimi raggi diretti verso il tramonto mentre noi scendiamo allegramente il sentiero di ritorno; io sorrido e sento già il sale delle patatine gialle e croccanti sulla lingua e le bollicine ridenti della birra che mi solleticano la gola assetata.

Dopo tanto vagare questo è l’unico epilogo che desidero.



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Buon viaggio! e al prossimo articolo!

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