Alessandra Bello
Monte Totoga

La possibilità che dà una passeggiata in solitaria è quella, impagabile, di ascoltarti e esplorarti rispettando i tempi di silenzio, di contrazione ed espansione, che sono necessari per andare in profondità.
Da sempre ho la viva esigenza di prendermi questi spazi; anche se crescendo è diventato sempre più difficile ritagliarli: ma quando accade torno sempre rinvigorita.
Oggi è uno di quei giorni. Prendo la macchina, gli scarponi, lo zaino e parto lasciandomi tutto alle spalle.
Mi incammino sulla forestale e ben presto vengo inghiottita dal bosco. La facile strada bianca si fa sentiero e da placida che era ora si alza orgogliosa sul versante.
Un cartello mi indica la direzione: Totoga.
Il mio respiro da lieve accelera fino all’equilibrio perfetto con l’andatura. Il calore esplode nei muscoli e il sudore lava i pensieri. Non penso a niente ora, solo a salire, chiamata dalla vetta 800 metri sopra di me.
Incrocio qualche gruppetto di locali che avanzano lentamente e a ogni sosta si scambiano qualche battuta e ridono in coro.
Li saluto con cortesia e procedo nel mio viaggio seguendo il mio istintivo ritmo.
A tratti il bosco mi permette di intravedere paesaggi e strade che conosco per poi richiudersi nel suo intricato mistero. Sto bene qui.
Poco prima di una baita vedo qualcosa muoversi, guardo meglio: una lince!
Cammina oziosamente alla ricerca di qualcosa; il vento contro mi ha permesso di non essere sentita. Sorrido e in quel momento lei si gira di scatto, mi vede e fulminea sparisce nel sottobosco.
Poco dopo mi ritrovo all’ingresso di una galleria che mi racconta storie di attese lontane. C’erano le seconde linee qui. La guerra, quella vera, quella di ferro, non arrivò mai.
Dentro è umido, buio, freddo e tira un gran vento che mi ghiaccia il sudore sulla pelle. E’ un'altra stagione qui, un altro tempo.
Entro nelle viscere della terra, i miei occhi ci mettono un po’ ad abituarsi alla poca luce che penetra nelle gallerie. Accecata mi faccio trasportare dal vento che mi porta sul ciglio di enormi finestre che mi regalano paesaggi resi abbacinanti dalla forte luce del mattino ormai fatto.
Esco da questa capsula del tempo e mi rimetto sul sentiero che in breve mi porta sull’erbosa cima. La piccola croce in legno mi fa capire di essere arrivata alla fine della salita.
Respiro lentamente. Mangio qualcosa mentre con gli occhi mi tuffo nel panorama di fronte a me. Le Pale di San Martino, Cima d’Asta, le Vette Feltrine col Pavione catturano il mio sguardo in un infinito gioco di saliscendi fatto di verdi pendii e di rocce protese verso l’alto.
Con lo sguardo sosto maggiormente sui numerosi progetti che ho su parecchie di queste cime orgogliose. Non riesco a contarli quanti sono. Sorrido. La strada è lunga ancora. Per fortuna.
Sono pronta per scendere. Decido di fare il periplo del Totoga per esplorare il suo lato più intimo e nascosto e mi re-inoltro nel bosco fitto zigzagando veloce nel labirinto di faggi e abeti.
La discesa ha sempre con se la gaiezza del ritorno e la malinconia della fine. Nel mentre di questo pendolo emotivo si apre davanti a me la Val Vanoi. Il periplo è compiuto. Il viaggio nelle mie terre solitarie è finito.
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Buon viaggio! e al prossimo articolo!