No. La fotografia non è per tutti.
Esattamente come la chirurgia non è per tutti.
Esattamente come la progettazione non è per tutti.
Esattamente come la scrittura non è per tutti.
Vi fareste mai operare da un medico incompetente? Vi fareste mai progettare una casa da un architetto incapace? Leggereste mai un libro di uno scrittore che non ha niente da dire?
In questa epoca di tecnocrazia imperante nella quale siamo irrimediabilmente sprofondati, le macchine sostituiscono il pensiero.
In ambito fotografico questo è evidente, lapalissiano e, per chi ama la fotografia, sconcertante.
Applichiamo il filtro bellezza.
Il filtro migliora.
Il filtro nitidezza.
Il filtro luce.
Così ritroviamo immagini tutte sensazionalmente uguali; poche ombre e, se ci sono, sempre ben nitide e leggibili; luci mai troppo intense, conformate e omologate; atmosfere e cromie riconoscibili e standardizzate.
Ogni grado di libertà che aveva la fotografia, oggi, ha la sua risposta precisa voluta dalla (presunta) cultura della modernità che tutto illumina, ed è ridotto ad una regola ferrea da seguire.
Immagini come formule scientifiche.
La moda in fotografia si esprime così.
Se guardiamo con attenzione il mercato delle immagini ogni breve intervallo di anni cambia la formula-filtro ma il concetto di base resta lo stesso: conosci la formula e applicala, allora sarai riconosciuto come alfiere dell’iper-modernità.
Presunti fotografi si conformano alla legge della formula scientifica del mercato.
Presunti fotografi applicano la stessa formula per avere fotografie tutte uguali e riconoscibili.
Il soggetto perde il suo valore e le sue caratteristiche intrinseche: la fotografia non è più riconoscibile dal soggetto ma dal filtro che usi.
E’ l’omologazione della visione che avanza.
Non è più richiesto lo sforzo di pensiero, lo sforzo del vedere: non sarebbe utile per vendere.
Questa non è più fotografia, è un altra cosa: c’è chi la chiama post-fotografia.
Fontcuberta dice che “il termine post indica l’abbandono, l’allontanamento. Una porta che si chiude dietro di noi, slam …ed entriamo nella posterità.”
Siamo nell’epoca dell’iper-modernità dove la cultura è inseparabile dall'industria commerciale.
L’aureo esoscheletro vuoto del progresso (naufragato già nel millennio scorso) detta i nuovi diktat che insieme ai nuovi valori - urgenza, leggerezza e quantità - piegano l’agire fotografico ad una estetizzazione intensificata e standardizzata della realtà.
Non è più la ricerca dell’attimo fuggente (come insegna il lavoro di Cartier-Bresson) ma la trasformazione di tutto in un metadonico attimo sfuggente.
Fare una fotografia non è applicare un filtro alle milioni di immagini inutili, vuote e prive di profondità.
La fotografia non è cercare la giusta formula-filtro da applicare alle immagini per pura ricerca di riconoscimento edonistico.
La fotografia è vedere il soggetto, capirlo, entrarci dentro, creare delle soglie, dei diaframmi per andare in profondità nelle sue luci e, soprattutto, nelle sue oscurità.
La fotografia è una forma di pensiero.
E non è per tutti.
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